REGIE PATENTI

Vittorio Emanuele I affidò alla Segreteria di Guerra il compito di stendere un Progetto d’istituzione di un corpo militare pel mantenimento del buon ordine.

Sicuramente fece pressioni perché l’idea si realizzasse in un tempo brevissimo.

Dopo poche settimane, infatti, erano già pronte due relazioni: la prima messa a punto da Luigi Prunotti, capitano reggente di Pinerolo, a nome della Segreteria di Guerra; la seconda preparata da una apposita commissione (relatore Francesco David).

È curioso sottolineare come, nonostante i sentimenti apertamente antifrancesi del re e della corte, entrambi i progetti si ispirarono all’ordinamento della Gendarmeria francese, un’istituzione di antica data, perfezionata nel corso del tempo e giunta al suo più alto grado di efficienza nel periodo napoleonico, con oltre 30mila effettivi distribuiti sul territorio in 2.500 unità operative.

Quel che Vittorio Emanuele I aveva in testa – ha scritto il generale di Corpo d’Armata Arnaldo Ferrara, autore di una monumentale Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri (giunta al suo quarto volume) – era «un Corpo nuovo, dalla valenza multipla e dalle attribuzioni particolari, ispirato ai principi di libertà, di riconoscimento pieno dei diritti delle popolazioni, di esaltazione dei valori dell’uomo ormai pienamente acquisiti dopo la Rivoluzione francese». 

Il 13 luglio 1814 (la data offre una prova della sollecitudine con la quale si lavorò: erano passati appena due mesi dal rientro a Torino del monarca) furono promulgate le Regie Patenti, che segnarono la nascita dei Carabinieri.

Le patenti costituivano un atto ufficiale con il quale si dava formalmente il via a progetti di particolare rilievo per lo Stato. Il documento era composto da 16 articoli, preceduti da un preambolo, nel quale si spiegavano gli obiettivi del decreto. In questi termini (debitamente aulici): «Per ricondurre, e assicurare viemaggiormente il buon ordine, e la pubblica tranquillità, che le passate disgustose vicende hanno non poco turbata a danno de’ buoni e fedeli Sudditi Nostri, abbiamo riconosciuto essere necessario di porre in esecuzione tutti que’ mezzi, che possono essere confacenti per iscoprire, e sottoporre al rigor delle Leggi i malviventi, e male intenzionati, e prevenire le perniciose conseguenze, che da soggetti di simil sorta, infesti sempre alla Società derivare ne possono a danno de’ privati, e dello Stato. Abbiamo già a questo fine date le Nostre disposizioni per istabilire una Direzione generale di buon Governo specialmente incaricata di vegliare alla conservazione della pubblica, e privata sicurezza e andare all’incontro di que’ disordini, che potrebbero intorbidarla. E per avere con una forza ben distribuita i mezzi più pronti e adattati onde pervenire allo scopo, abbiamo pure ordinata la formazione, che si sta compiendo, di un Corpo di Militari distinti col nome di Corpo de’ Carabinieri Reali, e colle speciali prerogative, attribuzioni, ed incumbenze analoghe al fine che Ci siamo proposti per sempre più contribuire alla maggior felicità dello Stato, che non può andare disgiunta dalla protezione, e difesa de’ buoni e fedeli Sudditi Nostri, e dalla punizione de’ rei».

Quel che Vittorio Emanuele I aveva in testa – ha scritto il generale di Corpo d’Armata Arnaldo Ferrara, autore di una monumentale Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri (giunta al suo quarto volume) – era «un Corpo nuovo, dalla valenza multipla e dalle attribuzioni particolari, ispirato ai principi di libertà, di riconoscimento pieno dei diritti delle popolazioni, di esaltazione dei valori dell’uomo ormai pienamente acquisiti dopo la Rivoluzione francese». 

Il 13 luglio 1814 (la data offre una prova della sollecitudine con la quale si lavorò: erano passati appena due mesi dal rientro a Torino del monarca) furono promulgate le Regie Patenti, che segnarono la nascita dei Carabinieri.

Le patenti costituivano un atto ufficiale con il quale si dava formalmente il via a progetti di particolare rilievo per lo Stato. Il documento era composto da 16 articoli, preceduti da un preambolo, nel quale si spiegavano gli obiettivi del decreto. In questi termini (debitamente aulici): «Per ricondurre, e assicurare viemaggiormente il buon ordine, e la pubblica tranquillità, che le passate disgustose vicende hanno non poco turbata a danno de’ buoni e fedeli Sudditi Nostri, abbiamo riconosciuto essere necessario di porre in esecuzione tutti que’ mezzi, che possono essere confacenti per iscoprire, e sottoporre al rigor delle Leggi i malviventi, e male intenzionati, e prevenire le perniciose conseguenze, che da soggetti di simil sorta, infesti sempre alla Società derivare ne possono a danno de’ privati, e dello Stato. Abbiamo già a questo fine date le Nostre disposizioni per istabilire una Direzione generale di buon Governo specialmente incaricata di vegliare alla conservazione della pubblica, e privata sicurezza e andare all’incontro di que’ disordini, che potrebbero intorbidarla. E per avere con una forza ben distribuita i mezzi più pronti e adattati onde pervenire allo scopo, abbiamo pure ordinata la formazione, che si sta compiendo, di un Corpo di Militari distinti col nome di Corpo de’ Carabinieri Reali, e colle speciali prerogative, attribuzioni, ed incumbenze analoghe al fine che Ci siamo proposti per sempre più contribuire alla maggior felicità dello Stato, che non può andare disgiunta dalla protezione, e difesa de’ buoni e fedeli Sudditi Nostri, e dalla punizione de’ rei».

Negli articoli si fissavano alcuni punti destinati a definire alcuni aspetti specifici. Nell’articolo 6 si stabiliva che le deposizioni dei carabinieri avrebbero avuto la stessa forza di quelle dei testimoni; all’articolo 11 che i carabinieri non potessero essere distolti dalle autorità civili o militari dall’esercizio delle loro funzioni (salvo circostanze di urgente necessità, nel qual caso si sarebbe dovuta inviare al Comandante del posto una motivata richiesta scritta, cui lo stesso Comandante avrebbe dovuto aderire); al 16 che il Corpo dei Carabinieri Reali sarebbe stato considerato nell’armata il primo fra gli altri, dopo le Guardie del Corpo. 

Soprattutto quest’ultimo punto offriva una chiara definizione dei Carabinieri come corpo di élite. La storica Elena Papadia – a conferma di questo aspetto – ricorda come «i criteri di reclutamento prevedevano un accesso quasi esclusivo a chi avesse prestato servizio per quattro anni in altri corpi; la selezione avveniva comunque solo tra coloro che superassero il metro e settantacinque di statura, e che sapessero leggere e scrivere: per l’epoca, si trattava di requisiti molto severi. La paga, del resto, era proporzionata alla rigidità dei criteri di accesso: cinquecento lire per un carabiniere a piedi e mille per uno a cavallo costituivano un buon incentivo per l’arruolamento volontario. Ma anche l’eleganza della divisa poteva contribuire ad avvolgere il nuovo corpo militare in un alone di prestigio, e così nello stesso 1814 il capitano Camillo Beccaria propose al re che “i gendarmi facciano uso al colletto degli alamari d’argento: questa distinzione avrebbe invitato molta gioventù civile a passare nel Corpo e nulla costerebbe a Sua Maestà”». L’organico iniziale fu di 27 ufficiali, 776 sottufficiali e truppa (detta allora “bassa forza”). Tra gli ufficiali si contavano un colonnello, un aiutante maggiore, quattro capitani, dieci luogotenenti (gli attuali tenenti), dieci sottotenenti e un quartiermastro, che aveva compiti di natura logistico-amministrativa quali, tra gli altri, l’organizzazione della caserma. I sottufficiali erano 4 marescialli a piedi e 13 a cavallo, 51 brigadieri a piedi e 69 a cavallo. La truppa era formata da 277 carabinieri a piedi e 367 a cavallo. I carabinieri a cavallo erano in numero maggiore per garantire al Corpo una migliore mobilità nel territorio, una presenza capillare e un intervento immediato in caso di bisogno.